In seguito alla tragica morte della piccola Elena, sempre più persone si interrogano sulla “Sindrome di Medea”. Ecco di cosa si tratta.
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La morte tragica di Elena Del Pozzo ha sconvolto l’Italia, per l’efferratezza e l’identità della responsabile. La sua presunta scomparsa aveva lasciato con il fiato sospeso il Paese, poi la verità è venuta a galla e ha colpito tutti con la sua brutalità.
La piccina non era stata rapita, come si pensava inizialmente, ma era in realtà stata uccisa dalla giovanissima madre, Martina Patti. La ragazza è infatti crollata e ha ammesso le sue responsabilità durante il serrato interrogatorio delle forze dell’ordine.
Questa tragedia ha riportato sotto i riflettori una patologia, la cosiddetta “sindrome di Medea“, che colpisce a volte le donne. Una patologia terribile e che porta a gesti tremendi e improvvisi. Ma di cosa si tratta nello specifico e chi ne può soffrire? Come individuarla e agire nel modo corretto?
Cos’è la sindrome di Medea e come affrontarla
Il primo ad usare questo termine è stato lo psicologo Jacobs alla fine degli anni Ottanta, riferendosi a una donna e madre che per rivalersi sul compagno fa del male agli stessi figli. Nella mitologia greca, infatti, Medea, per vendicarsi del marito Giasone, innamorato di un’altra donna, arriva addirittura ad uccidere i suoi stessi bambini.
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Questo complesso a volte non sfocia in nulla di fatto e rimane inconscio, ma altre volte, come eventualmente nel caso di Catania, dove la madre soffriva molto la rottura con l’ex compagno e la nuova relazione con un’altra donna, sfocia in tutta la sua ferocia. Secondo la dottoressa Eleonora Iacobelli, intervistata da Vanity Fair, ci sono alcuni campanelli d’allarme che non vanno sottovalutati e che dovrebbero mettere sul chi va là le persone vicine a chi ne soffre.
“Tra i segnali di “pericolo” si possono ravvisare: umore depresso o sbalzi d’umore, poca tolleranza alla frustrazione, mancanza di empatia, senso d’inadeguatezza, rabbia” spiega la psicoterapeuta. Importante il supporto da parte della famiglia, per evitare che questa condizione possa degenerare, e che può far da tramite con uno specialista in grado di aiutare la donna.