Shein, industria cinese fast fashion, è finita nel mirino: il noto marchio è sotto accusa per via delle condizioni a cui sono soggetti i suoi lavoratori. Sfruttamento, paga bassissima, orari estenuanti accompagnerebbero le loro giornate lavorative.
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Un emporio dell’abbigliamento dove soddisfare qualsiasi voglia con cifre esigue. Navigando sul sito di Shein si possono trovare veri e propri affari trasformando il proprio shopping in un sogno nel segno dello stile e del risparmio.
Un sogno dietro il quale si cela tuttavia un lato oscuro: lo sfruttamento lavorativo. Un incubo che tocca la maggior parte delle industrie del fast fashion e il marchio cinese non manca all’appello.
Se già in passato era finito nel mirino proprio per le condizioni inique a cui sono soggetti i suoi lavoratori a riaccendere la polemica il documentario “Untold: Inside the Shein Machine”, trasmesso dall’emittente inglese Channel 4.
La pellicola ha messo in evidenza le terribili condizioni di lavoro nelle fabbriche del brand nonché i ritmi serrati per le sue produzioni che mettono in grave pericolo il Pianeta con insostenibili processi: il tutto per offrire tantissima varietà di capi, sempre diversi, venduti a pochi euro.
Shein nel mirino: lavoratori sfruttati
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È la reporter Iman Amrani ad aver guidato la realizzazione del documentario “Untold: Inside the Shein Machine”. Entrati sotto copertura, i realizzatori della pellicola hanno potuto toccare con mano quanto i lavoratori di Shein siano costretti a condizioni di lavori inique.
Raccolte testimonianze nelle sue strutture di Canton, città nel sud della Cina, è emerso come siano costretti a ritmi lavorativi assurdi, considerando la produzione giornaliera di 10mila capi. Questo sistema avrebbe portato a fatturati stellari pari a circa 100 miliardi di dollari, cifra raggiunta nell’aprile 2020, superando di gran lunga i numeri dei marchi fast fashion più conosciuti al mondo come Zara e H&M.
L’inchiesta avrebbe svelato come i lavoratori non avrebbero uno stipendio fisso: sarebbero pagati circa 0,27 yuan – pari a 4 centesimi di euro – a capo prodotto. Solo pochi sarebbero assunti ma dovrebbero produrre circa 500 capi al giorno per una paga di 600 euro al mese.
Anche in fatto di orari le condizioni sarebbero allarmanti tanto che si parla di settimane lavorative di 75 ore, dato denunciato già nel 2021 dall’organizzazione Svizzera impegnata nello sviluppo sostenibile Public Eye.
Oltre allo sfruttamento lavorativo Shein impatterebbe negativamente sull’ambiente con le sue produzioni: per realizzare così tanti capi, offerti a prezzi esigui, si taglierebbe tantissimo sulla qualità dei materiali utilizzati, si aumenterebbe la mole dei rifiuti a dismisura e i processi produttivi sarebbero totalmente insostenibili.
A tutto questo si aggiunge il fatto che i suoi capi sono consegnati a casa in buste di plastica, destinate a finire nella spazzatura e a non poter essere riciclate. Tutto questo non fa altro che creare un quadro allarmante le cui conseguenze si riversano sul Pianeta e i suoi essere viventi.